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- Formula 1 -
Il segreto della forma e l'effetto suolo

 

Per chi se le può ricordare, fino alla fine degli anni sessanta, le Formula 1 avevano la forma di un sigaro, ben arrotondate per facilitare l’impatto con il vento laterale e favorirne il passaggio senza compromettere la stabilità.

Poi venne Colin Chapman e, con lui, l’aerodinamica.

Benché i principi delle forze aerodinamiche fossero noti da circa 50 anni, la loro applicazione nell’automobilismo era limitata al solo tentativo di diminuire gli sforzi di attrito a parete, cioè di diminuire la resistenza dell’aria cui le auto andavano incontro. Fu Chapman, genio della Lotus, ad intuire ciò che doveva essere chiaro a tutti quelli del settore: sfruttare la componente verticale delle forze aerodinamiche per aumentare l’aderenza della monoposto (si definisce forza aerodinamica una forza provocata dalla differenza di pressione a cui è sottoposto un corpo e, a sua volta, una differenza di pressione è creata dalla modifica che il campo di moto dell’aria subisce a causa della presenza di tale corpo).

L’idea ebbe un impatto enorme sul settore delle corse automobilistiche, si puntò immediatamente a capire quali fossero i reali vantaggi e la forma delle F1 venne completamente cambiata. Ancora oggi ciascuna scuderia presenta, da un anno all’altro, modifiche in questo campo, ma si tratta per lo più di correzioni sulle appendici, mentre il profilo è rimasto pressoché inalterato.

A cosa è dovuta, dunque, questa forma?

Sono costretto a chiedervi ancora un attimo di pazienza per potervi introdurre una teoria (“teoria dei profili sottili” o “delle piccole perturbazioni”), secondo la quale l’analisi della forza verticale, a cui daremo il nome di portanza se positiva(cioè diretta verso l’alto) e deportanza se negativa(cioè verso il basso), agente su un profilo alare è basata sullo studio della sola linea media (linea approssimativamente passante in mezzo al profilo stesso) e dell’incidenza a, ossia l’angolo che la corrente d’aria forma con la corda (definita come il segmento congiungente gli estremi della linea media).

 

 

Giocando su questi due elementi, è possibile aumentare o meno l’effetto portante, ad esempio l’incidenza dell’ala di un aereo varia durante il volo per il fatto che, lungo il viaggio, si alleggerisce a causa del consumo di carburante, e ciò può avvenire semplicemente facendo ruotare l’ala stessa.

Se ora si prende il profilo di una Formula 1 e se ne traccia linea media e corda, si potrà notare come esso sia proprio un’ala al contrario. La corda rende possibile il fatto che la monoposto, investita orizzontalmente dall’aria che incontra, abbia un’incidenza tale da creare deportanza, e ciò cesserebbe di essere vero solo quando il fluido (aria) arrivasse formando l’angolo di portanza (e quindi anche deportanza) nulla, ovvero qualora il flusso arrivasse dal basso, con comunque un preciso angolo minino, oltre il quale la monoposto decollerebbe. Visto che l’asfalto non ha bocche per soffiare, tal problema non esiste.

Come variare linea media e corda? La parte del leone la fanno gli alettoni posteriori. Nei circuiti tortuosi essi vengono maggiormente “caricati”, in modo da aumentare l’angolo di incidenza con il flusso proveniente orizzontalmente ed aumentare, di conseguenza, la forza deportante. Purtroppo in natura vige la legge del “niente per niente”, ed il prezzo si paga in minori velocità di punta. Per contro, la variazione dell’alettone anteriore non influisce sostanzialmente sulla corda e, pertanto, una maggior inclinazione non diminuisce le velocità massime, ma serve per altri motivi, ad esempio a creare sovrasterzo, oppure a ripartire in modo diverso lungo la vettura la spinta verso il suolo.

 

 

Per questi motivi, risulta chiaro perché un pilota che rompe il musetto o danneggia gli alettoni procede lentamente lungo il tracciato: egli potrebbe sicuramente tenere ancora il passo degli altri concorrenti, ma, dopo il primo cordolo, si ritroverebbe in volo verso l’ignoto…

Ovviamente questo è solo un primo approccio all’aerodinamica di una F1, che fortunatamente non si esaurisce qua, basti pensare alle paratie, ai nolder, etc, ma spero comunque di aver dato un’idea circa la linea che seguono Newey & Co.

E l’”effetto suolo”?

De Adamich e Piola commentano con la loro profonda competenza ogni Gran Premio, ma mai ho sentito menzionare da loro linea media o corda. Effetto suolo è, invece, un termine usato quasi con la frequenza di una congiunzione: da cosa nasce?

Esiste un teorema in fluidodinamica, enunciato da Daniele Bernoulli (1700 – 1782) nella sua Hidrodynamica (1738), il quale afferma che, per un fluido gassoso sotto determinate ipotesi, la somma della pressione statica e di quella dinamica si mantiene costante (p+1/2rV2 = cost). Si può facilmente intuire come, dove il fluido venga accelerato, la pressione debba necessariamente diminuire. Se l’ala di un aereo è sostenuta dal fatto che riesce a modificare il flusso da cui viene investita in modo da accelerare la porzione che scorre sopra di essa maggiormente rispetto a quella passante sotto, e quindi ad avere inferiormente una pressione maggiore che la spinga verso l’alto, e se, abbiamo detto, una monoposto è un’ala al contrario, è chiaro come il risultato della attuale forma di una F1 sia quello di accelerare l’aria passante sotto la vettura maggiormente di quella passante sopra, in modo tale da avere superiormente una pressione che “vinca” quella sottostante e che, dunque, schiacci auto e pilota verso il basso.

Tra parentesi, questo teorema è anche la causa del mitico “tiro ad effetto” che tanti gol fece realizzare a Maradona nei calci di punizione (talvolta camuffato sotto il nome di effetto Magnuss).

Lo sfruttamento di tale teorema in questo senso è proprio il fatidico effetto suolo, per il quale a lungo lavorò il già citato Chapman. La prima auto a presentare questa qualità fu la Lotus 79 del 1978, che vinse il titolo con l’americano Mario Andretti, padre di quel Michael che poca fortuna ebbe alla corte di Ron Dennis. La dichiarazione forse più significativa del campione statunitense fu “…l’auto, in rettilineo non andava più veloce di prima, ma in curva sembrava che scorresse sulle rotaie…”.

 

 

Forniamo ora qualche dettaglio in più. L’equazione di continuità (tanto esce quanto entra) ci indica che, laddove esista una strizione, un flusso sia costretto ad accelerare. Il musetto delle monoposto funziona proprio in questo modo: tramite una strozzatura, incanala l’aria sotto la vettura, dove la sezione viene allargata per permettere un certo recupero e consentire al fluido di uscire alla stessa pressione presente nella scia dietro l’auto, ma in ogni sezione la pressione è comunque inferiore a quella soprastante il telaio, nonché presente ai lati. Chapman si trovò ora di fronte al problema di dover evitare che il flusso laterale, spinto da una maggior pressione, si insinuasse sotto la vettura e lo risolse con l’introduzione delle ”minigonne”, ossia bandelle verticali scorrevoli fino a terra che costituivano un vero e proprio muro (visibili nella precedente figura). La FIA decise però di proibirle in quanto il loro danneggiamento durante una competizione, a causa dell’impatto con i cordoli per esempio, avrebbe seriamente compromesso la stabilità della vettura con conseguenti enormi rischi per i piloti.

 

 

I progettisti riuscirono in parte ad aggirare il problema di tale divieto introducendo il fondo piatto ed abbassando le F1, in modo da diminuire così la sezione di passaggio. Ciò comportò anche l’irrigidimento delle sospensioni. La Ferrari, con la F92A, si spinse oltre, riuscendo a creare delle minigonne naturali grazie all’incanalamento di un flusso laterale che proteggesse la depressione creata. I risultati in galleria del vento furono fantastici, quelli su strada un po’ meno, e la soluzione venne abbandonata.

Oggi la FIA rende obbligatorio un fondo scalinato, per diminuire la superficie piatta dello stesso fondo ed aumentare l’altezza da terra, con la speranza di aumentare il numero di sorpassi e quindi rendere le gare più spettacolari…

Non ha però fatto i conti con la Ferrari e con un certo tedesco che risponde al nome di Schumacher!

 

 

Ottobre 2002

 

Fabrizio Rosati

 

 
     

 

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