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- Il passato nostro... -

 

L'uomo ed il suo passato.
Si può dire che non scorra un'ora intera senza che un individuo non faccia tornare la sua mente al già vissuto: è proprio della condizione umana disperdersi in oasi passatistiche, pigramente beandosene, e soffermarsi poco a pensar realmente a ciò che ci (si) aspetta. L'avvenire, che é pur sempre - giustamente - colorato con soavità, viene quasi minimizzato, non tenuto nella dovuta considerazione: non è una novità ammettere che l'uomo, di norma, teme ciò che gli riserva il futuro. Un timore immotivato, eppur non c'è persona che, trattando di ciò che sarà, si impunti solo leggermente sulla difensiva, anche quando si ripongono, per il domani, le più rosee (o verdi) speranze. Lapalissiano ribadire che, non conoscendo il futuro, è più semplice riandare con la mente a ciò che già si conosce (o si crede di conoscere: in realtà, forse, non c'è nulla di più ignoto che il passato), si ricorda e che viene, insomma, frequentemente idealizzato. Il tempo come livellatore, quindi, pure nell'accezione decurtisiana del termine.

Ciò detto, è proprio degli sciocchi inserire il passato in ogni discorso, gesto, atteggiamento, considerazione sopravvenuta; e visto che la sciocchezza fa sempre notizia, a taluni è sorto il dubbio che l'uomo viva, attraverso il passato, il proprio presente proiettandosi, ma non così tanto, nel futuro. Trattasi di dubbio accoglibile, motivato.

Quante volte abbiamo distinto con chiarezza il richiamo della memoria? In innumerevoli occasioni: e non ci si riferisce solo ai sogni. E' questo il punto: mai coltivare la nostalgia. Interrando i semi del passato, si avrà un proprio orticello che produrrà, alla lunga, frutti non commestibili, nonché una zizzania di sensazioni contorte, difficilmente estirpabili (poiché egoistiche). L'Italia, poi, è un paese che della nostalgia fine a sé stessa ha fatto cifra stilistica, quasi: oltre ad essere - con tutta probabilità - affidabili per metà, ondivaghi, umorali, noi italiani siamo un popolo malamente nostalgico, per via di quanto detto sopra. Dimentichiamo benissimo, ricordiamo (confusamente) con altrettanta facilità.

"Gente che muore di nostalgia" diceva (aridagli!) una canzone di molto anni fa (che non era, però, un ritratto dell'italiano medio): come si vede, anche con un qualsiasi riferimento musicale può essere facile rievocare quello che fu. Gli italiani sono visceralmente legati al passato, ed una ragione ci dovrà pur essere. Più di una.

Anzitutto la mitizzazione dell'infanzia-adolescenza, il periodo che più di ogni altro viene agiografato con costanza e ritegno. A torto? A ragione? Il sasso è lanciato. Va comunque detto questo: i figli del "baby boom", ora sono attorno ai quarant'anni di età. Ecco, additiamoli come la prima generazione (forse addirittura della storia) che vive dando più d'una occhiata ai loro miti dorati. C'è da scommetterci che, a forza di voltarsi a rievocare quel tempo ai loro figli, i figli stessi facciano la fine della moglie di Lot, rimasta di sale perché il marito aveva osato voltarsi a mirarla: ai virgulti il rischio di inebetirsi prima del dovuto, insomma...

La traballante fiducia nell'avvenire, poi, già esplicata in precedenza: non c'è verso, "l'anno che verrà" è stato visto con fierezza solo da un cantautore, per gli altri italiani è una speranza vaga, non molto convinta. Quasi rassegnata (e non troppo speranzosa, quindi). Ultimo ma non ultimo, l'intercalare "ai miei tempi". E' un topos italiano, trasversale in quanto ad età, che infatti non si riferisce, nel ricordo, solo all'età prima, quanto piuttosto alla consapevolezza che il passato, ritornando, viene sempre veduto con indulgenza e bonarietà (fatto che ovviamente non si verificava quando quel momento era un oggi). Una soluzione per non cadere tra le spie della meno nobile malinconia? Potrebbe essere questa: le vostre azioni, i vostri stessi pensieri, sono stati vissuti di già, anno dopo anno, da persone di cui tutto ignorate.

Ogni azione è ciclica: un anno, due, cinque, dieci, e anche più, prima, la forma delle azioni si è sempre ripetuta in qualcun altro. Non subentrerà, crediamo, la nostalgia più bieca, ma una spinta a vedere con più chiarezza il domani. Senza troppi appigli di memoria.

 

 

10 dicembre 2002

Matteo Cogorno

 

   
     

 

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