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- E' possibile per l'uomo essere etico? -

 

Commento di Domenico Ventra del 27/12/2002

Non penso di commentare tutti i periodi della riflessione, quindi tutto sommato mi pare che il discorso segua una sua logica anche perché si avvale di contributi molto illustri. Io mi sarei chiesto sin dall'inizio: "E' possibile per l'etica essere umana?" Edoardo ci arriva comunque dopo un paio di premesse e di deduzioni. Condivido inoltre che sia necessario per l'uomo accettare i propri limiti e l'importanza per lo stesso di fare delle scelte da uomo e non da figlio di Dio. Ma, ahimè, la filosofia somiglia a un labirinto. Mi pare che il problema centrale sia nella scelta degli assiomi su cui costruire il modello da seguire per essere etici. Dunque vorrei sottolineare l'estrema relatività della questione: si è (o non si è etici) sempre rispetto a qualcosa. E' ovvio che giudicare teorie sulla base di assiomi diversi serve per mettere in evidenza le incongruenze delle teoria in esame. Non sono ne cattolico ne cristiano, ma l'atto di SCEGLIERE i comandamenti o i vangeli o il corano o Kant come guide per giungere a comportamenti etici, mi pare un atto evidentemente umano. Accettare di essere uomini non significa aberrare tutti gli aspetti che secondo qualcuno o tutti sono deplorevoli. L'egoismo e la violenza sono aspetti dell'uomo e nessuno li ha inventanti al di fuori di esso stesso. O si accetta tutto o niente(direbbe qualcuno). E si ritorna alla fede. O credi o non credi. Nessuno ti spiega i perché i quando e i come. I meccanismi delle diverse "morali" sono identici, cambiano le condizioni di base ma in tutte esiste una coerenza interna e soltanto interna. De Andrè ne "il testamento di Tito" parla con la voce di Tito appunto che era uno dei due ladroni crocifissi insieme a Gesù. (I nomi dei ladroni cambiano nei diversi testi, ci sono i Vangeli cosiddetti apocrifi perchè non riconosciuti dalla chiesa, dove i nomi sono diversi) Affronta tutti i dieci comandamenti e nella sua profonda umanità non si pente di averli infranti tutti. L'emblema della riflessione di Edoardo credo che sia la conclusione: "ama il prossimo tuo come te stesso". Essa racchiude tutti i comandamenti cristiani ma si ricollega al testo di De Andrè in quanto sottolinea che si tratta di una morale per uomini che amano se stessi. Chi è derelitto e non si ama è destinato a ricevere soltanto surrogati d'amore ovvero compassione, carità, pietà. Tito infatti, sulla croce affianco al Cristo, impara l'amore nella pietà che non cede al rancore.

 

Risposta di Edoardo Bottini del 31/12/2002

Non sono sicuro di aver capito quale sia l'obiezione che muovi al mio discorso. Penso che tu voglia dire (se ho frainteso scusami) che non può esistere una morale universale (cioè valida per tutti gli esseri umani) perché, come dici tu, "si è (o non si è) etici sempre rispetto a qualcosa". Io invece credo che esista una morale universale (intendendo con questa parola valida per tutti gli uomini liberi) e che sia la morale kantiana, a mio modo di vedere inoppugnabile dal punto di vista logico. L'etica kantiana è l'unica vera etica perché pone a fondamento dell'agire etico, l'agire etico stesso, cioè svela il meccanismo per cui è il fine di un'azione a determinare ciò che essa è. Allora se tale etica esiste, la domanda è se sia possibile per l'uomo seguirla.

Tu ti chiedi: "E' possibile per l'etica essere umana?" mentre la mia domanda era: "E' possibile per l'uomo essere etico?". Sto cercando di capire se nella sottile differenza che esiste nella forma di queste 2 domande tu vedi o meno una differenza sostanziale, cioè di contenuto.

Non condivido invece il discorso che fai sulla fede: la scelta di assumere un determinato sistema di valori rispetto ad un altro, e di valutare rispetto a tale metro le proprie azioni da un punto di vista etico è sicuramente una scelta umana ed ha a che fare con tutto ciò che un individuo è ed è stato. Ma tale scelta come può essere indirizzata affinché il sistema di valori scelto sia effettivamente etico? La questione è che secondo me non c'è possibilità di definire in un numero compatto di assiomi (o comandamenti) come comportarsi rispetto a tutte le situazioni possibili nella vita umana perché la vita è sempre più varia delle sue analisi filosofiche.

Allora se esiste un criterio per guidare la scelta in senso etico, tale criterio deve essere svincolato dalle singole situazioni possibili. Ed infatti il primo imperativo categorico non tenta neppure di offrire una guida in una ben precisa situazione, ma vuole (se vuoi pretende) di essere una guida di fronte a qualunque situazione; e ciò è possibile proprio perché è svincolato dalla singola azione (non rubare, non uccidere...). In altre parole, non credo che la fede possa costituire un criterio su cui basare una scelta etica, perché ogni fede necessita di un garante esterno (Dio) che garantisca appunto la validità di un certo numero di regole. Ma ciò è del tutto arbitrario: i raeliani ritengono ad esempio che la vera divinità siano gli alieni e che quindi la clonazione sia giusta. Ciò non vuol dire che in effetti lo sia. Ed ognuno può creare la propria divinità attribuendole i caratteri che più ritiene necessari e costruire quindi un certo numero di regole del tutto arbitrarie ma delle quali esiste la garanzia di una divinità.

Inoltre la fede manca a mio modo di vedere proprio del carattere di ecumenizzazione di cui spesso si fa portavoce: gli uomini sono pronti a sacrificarsi e ad uccidere per la propria fede (vedi i mussulmani oggi e i cristiani ieri) perché ogni credente è convinto di avere in sé la verità salvifica che, se condivisa da tutti, riporterebbe l'uomo al Paradiso Perduto. Tale pericoloso meccanismo nasconde un fanatismo di fondo che mi fa diffidare della fede. Infatti come diceva Paul Claudel: "Quando l'uomo cerca di immaginare per gli altri il Paradiso in terra, il risultato immediato è un molto rispettabile Inferno".

Ecco, in sintesi, perché credo che la fede non possa costituire un valido criterio su cui basare una scelta etica.

 

Commento di Domenico Ventra del 02/01/2003

Converrai con me (spero) che l'inoppugnabilità logica non è caratteristica esclusiva dell'etica kantiana. Quasi tutti i sistemi, più o meno diffusi tra gli uomini, hanno una logica interna inoppugnabile.

2+2=4 non è verità, è logica inoppugnabile. Ma è tale solo alla luce dei 15 (credo) assiomi di base e del sistema decimale.

L'equivalenza tra inoppugnabilità logica e morale universale non mi convince affatto. Tanto meno mi convince una morale che determina il valore delle mie azioni in funzione dello scopo che attribuisce alle mie azioni stesse.

Pablo Picasso avrebbe detto "L'importante è quel che si fa, non quel che si ha intenzione di fare".

Lo stesso discorso vale per la fede e per qualsiasi fonte di morale che non sia la mia persona. Che ognuno scelga la propria morale e i propri stili di vita nella ricerca della felicità.

 

Risposta di Edoardo Bottini del 03/01/2003

Il problema della inoppugnabilità logica interna di un sistema in realtà ha a che fare con l'esistenza di una garanzia. Mi spiego meglio: i comandamenti cristiani perché sono ritenute norme etiche? Perché è stato Dio a comunicarli agli uomini e Dio costituisce la garanzia che tali norme siano etiche. Quindi in realtà, come dici tu, perché un discorso sia logicamente coerente è necessario mettersi d'accordo sugli assiomi da cui si parte. Ora, l'idea che muove la mia convinzione riguardo l'universalità dell'etica kantiana è, come ho già avuto modo di dire: "è il fine di un'azione a determinare ciò che essa è" che devo aver mutuato da Severino se non sbaglio. Io non vedo come sia possibile prescindere da questo presupposto quando si cerca di definire un'azione etica. Cos'è un'azione etica? Anzi, qual è la condizione necessaria e sufficiente perché un'azione sia etica? E' che tale azione sia compiuta con il fine di compiere un azione morale, seguendo una libera scelta. Come ho già detto anche se l'azione compiuta è effettivamente etica (facevo l'esempio della beneficenza) ma è mossa da un fine diverso, di qualunque tipo esso sia, l'azione non sarà etica, sarà un'altra cosa a seconda del fine per cui è compiuta: sarà un'azione egoista, sarà un'azione prevaricatrice... non certo un'azione etica. Oltre a ciò, è necessario che l'azione sia mossa da una volontà libera di scegliere perché solo in questo caso colui che ha compiuto tale azione può essere ritenuto responsabile di essa. Quindi, io credo che l'etica kantiana sia universale - cioè, ripeto, valida per tutti gli uomini liberi - perché fa propri quelli che sono, a mio modo di vedere, gli unici 2 tratti imprescindibili per la definizione di una morale: 1) l'esistenza di una volontà libera di scegliere; 2)il criterio che pone come significato di un'azione il fine per cui viene compiuta. Io non credo che possa esistere una definizione qualunque di morale al di fuori di questi 2 presupposti. Da qui, è anche ovvio che il tuo timore che queste mie parole vogliano essere una sorta di comandamento da imporre a tutti come stile di vita, è del tutto infondato. Se la scelta fosse imposta da qualcun altro rispetto a colui che compie l'azione cadrebbe uno dei 2 presupposti di cui sopra e quindi l'intero discorso. Quindi in realtà il tuo discorso finale, non contraddice la mia tesi ma ne evidenzia uno dei 2 caratteri fondamentali: non esiste morale della quale la mia persona (intesa come singolo individuo) non sia fonte.

Forse riguardo l'altra obiezione mi sono espresso in maniera poco chiara. Non intendevo dire che l'etica kantiana è universale perché è inoppugnabile, ma che è universale perché ha come fondamento i 2 caratteri fondamentali che ho citato sopra. Nessuna definizione di morale può, secondo me, prescindere da uno di questi 2 caratteri (mi scuso per l'ennesima ripetizione).

Allora in realtà i veri problemi dell'etica kantiana sono altri: qual è la garanzia che la mia scelta sia effettivamente etica? Kant afferma che esiste nell'uomo una razionalità universale che lo dovrebbe guidare in questa scelta. Questo punto mi sembra discutibile. Del resto: il primo imperativo categorico è sufficiente a definire una regola valida di fronte a tutte le possibilità dell'esistenza? Beh, ad onor del vero va anche detto che esistono altri 2 imperativi categorici, uno dei quali suona più o meno così: "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona che in quella di chiunque altro, sempre come fine e mai come mezzo" (vattelapesca qual è il terzo...), il che non è poi molto diverso dal più prosaico e diretto: "ama il prossimo tuo come te stesso"(probabilmente Kant si rivolta nella tomba). Ciononostante, Sartre nel suo "L'esistenzialismo è un umanismo" evidenziava come l'etica kantiana fosse inadeguata ad operare una scelta in certe situazioni (se non sbaglio ad esempio: servire sotto le armi contro il nazismo rischiando di morire e quindi di far soffrire terribilmente la propria madre o no? Era il dubbio di un ragazzo che si era rivolto a Sartre perché lo aiutasse nella scelta).

Per concludere, è chiaro che è sempre meglio fare dell'elemosina rispetto al non farlo (conta l'azione, non l'intenzione). Il punto è: in quale senso va inteso quel "meglio"? Non certo in senso etico se ad esempio l'elemosina è fatta per mettersi in pace la coscienza.

Spero di aver chiarito la mia posizione, senza la pretesa di convincere nessuno.

 

Commento di Domenico Ventra del 05/01/2003

La logica non è garanzia: Kant sostituisce la garanzia divina con la necessità di un fine etico che garantisca l'eticità dell'azione. Stabilito che è lo scopo dell'azione a determinare l'eticità dell'azione stessa (che logicamente non fa una piega) rimane comunque un problema di giudizio.

Chi stabilisce quali sono i fini etici e quali no? E soprattutto, come lo fa? E' necessario stabilire i criteri attraverso i quali verranno giudicati i fini e quindi le azioni. Per il cristiano lo fa Dio o chi per lui, per Kant chi lo fa?

Al di la di questo, non ho visto il tuo messaggio come un mezzo per convincere me o qualcuno. Semplicemente ho paura di qualsiasi modo di pensare che viene presentato come universale. La pretesa dell'universalità mi ricorda soltanto tragedie.

 

Risposta di Edoardo Bottini del 06/01/2003

Questa è proprio la domanda che mi ponevo io alla fine del mio precedente intervento: qual è la garanzia sulla quale poggia l'etica kantiana? Beh, prima di tutto devo dire che non vedo perché tu attribuisca maggiore validità alla tesi secondo cui esiste un Dio rispetto a quella per cui esiste una razionalità universale. Nella tua obiezione infatti affermi: "per il cristiano lo fa Dio o chi per lui" come se questo fosse sufficiente a risolvere la questione. Un cristiano crede che garanzia della legge morale sia Dio; Kant crede che tale garanzia sia invece una forma di razionalità universale propria di ciascun uomo. Ora se si ammette che la tesi cristiana sia valida senza sottoporla a critica, si deve attribuire analoga validità alla tesi kantiana. Anzi, non esiste nessuna prova dell'esistenza di un Dio, mentre, spero converrai con me, esistono prove della esistenza nell'uomo (o quantomeno in certi uomini) di una razionalità (quanto poi sia universale e quanto l'uomo scelga di seguirla è un altro discorso). Quindi, se si sceglie di accettare acriticamente la posizione cristiana (che è l'unico modo di accettarla perché ormai solo Don Giussani e i suoi ciellini boys credono che le orbite dei pianeti siano la prova dell'esistenza di Dio), in realtà si deve attribuire eguale validità non solo alla posizione kantiana ma a qualunque altra etica arbitraria. In quest'ottica è del tutto legittimo che i raeliani ritengano accettabile la clonazione umana, perché garanti della loro etica sono una qualche forma di alieni che ci avrebbe dato la vita tramite esperimenti genetici (insomma una variante di Dio alla X-files...). Se invece si sottopone a critica il discorso sull'etica kantiana, si deve anche affermare che così come non esiste certezza dell'esistenza di una razionalità universale non esiste alcuna prova dell'esistenza di Dio e così di nuovo le due tesi si equivalgono. Con qualche piccola differenza: 1) si dovrà pur ammettere che esistono esseri umani razionali (e anzi a mio modo di vedere esiste in ogni essere umano una qualche forma di razionalità, sulla cui universalità ovviamente non si può dire nulla di certo); 2) non vedo perché tu abbia paura del pericolo insito nell'etica kantiana (tu dici "ho paura di qualsiasi modo di pensare che viene presentato come universale") quando questo è lo stesso pericolo insito in quella cristiana; con la differenza che nessuno si è mai sognato di uccidere un altro uomo sotto la bandiera dell'etica kantiana...

Quindi, Kant crede che esista nell'uomo (inteso come specie umana) una forma universale di razionalità che deve essere il metro di giudizio dell'agire etico. Quest'affermazione può essere discutibile; sicuramente non è meno valida della teoria cristiana, ad esempio (che tu invece sembri accettare solo perché un Dio sulla cui esistenza nulla si può dire con certezza ne sarebbe il garante).

Premesso tutto questo,è chiaro che aveva ragione Cioran quando diceva: "E' chiaro che Dio è una soluzione e che non se ne troverà mai una migliore". Ma tale soluzione non poggia su alcuna prova della quale un essere umano possa fare esperienza. Il pensiero laico (il cosiddetto pensiero debole), di cui l'etica kantiana costituisce un punto cruciale, nasce proprio dal tentativo di sospendere il giudizio sull'esistenza di Dio (perché, ripeto, nulla si può dire di certo in proposito) e fondare un etica (ed un agire in generale) indipendente dall'esistenza di Dio. Tale operazione è possibile? Io credo che in un certo senso l'esistenza di Dio sia superflua nella fondazione di un etica. Infatti, come ho già ripetuto fino alla noia, un azione può essere valutata da un punto di vista etico solo se è compiuta da un uomo in piena libertà (il che, è chiaro, è un'astrazione). Allora alla domanda "perché dobbiamo agire moralmente?", la risposta "perché esiste Dio" (o un qualunque altro garante esterno all'individuo che compie l'azione) manca del secondo presupposto di cui parlavo nell'intervento precedente, e cioè del criterio per cui un azione è etica solo se è compiuta per un fine etico. L'unica risposta alla domanda "perché dobbiamo agire moralmente?" è la domanda stessa: "perché dobbiamo agire moralmente". Qualunque altra finalità esterna all'agire etico trasforma l'azione in qualcosa di altro dall'azione etica (cosa sulla quale anche tu concordi). Allora l'esistenza di un Dio è quanto meno superflua per determinare la volontà di un uomo di agire in senso etico, e superflua deve essere. E' chiaro che è invece molto più complicato trovare un criterio per discernere un'azione etica da una che non lo sia, senza ricorrere ad un Dio-garante. Io credo però che i 2 imperativi categorici costituiscano un buon canovaccio su cui improvvisare, nei limiti del possibile.

 

Commento di Domenico Ventra del 10/01/2003

Forse la stiamo facendo troppo lunga e credo che non riusciamo a capirci.

Capisco la tua passione per la filosofia e il bisogno di trovare la ragione, almeno formale, durante una discussione. Purtroppo a me non interessa.

Non ho mai detto che la garanzia di dio  è più valida della razionalità umana. Ho cercato di dirti che secondo me non esiste alcuna etica per l'umanità. Esiste un'etica per ogni individuo che non risponde ad alcuna logica sistematizzabile se non approssimativamente. Da ciò discende la mia aberrazione nei confronti del cristianesimo, del cattolicesimo e di ogni morale presunta universale.

Una morale accolta da una molteplicità di uomini, implica il giudizio. E il giudizio ha bisogno di giudici, di uomini di legge nonché di imputati.

Evito di farti ripetere. La mia era una osservazione sulla validità empirica dell'etica kantiana, non sulla sua validità logica. La validità logica non la discuto semplicemente perché è banale e quasi ovvia, di conseguenza non è una caratteristica fortemente distintiva.

Ti lascio con una citazione di De Andrè a proposito di giudici, che come saprai sicuramente lui amava molto :-)

 

"Imputato,

il dito più lungo della tua mano

è il medio

quello della mia

è l'indice....

Ascolta

una volta un giudice come me

giudicò chi gli aveva dettato legge:

prima cambiarono il giudice

e subito dopo

la legge."

 

Risposta di Edoardo Bottini del 12/01/2003

Sono assolutamente d'accordo con te sul fatto che la stiamo facendo troppo lunga anche perché partiamo da presupposti completamente diversi ed in ogni nostro intervento non abbiamo fatto che ribadirli. Sul fatto che la passione per la filosofia porti al bisogno di avere ragione ("almeno formalmente" dici tu), in realtà devo dire che in una discussione ognuno espone le proprie idee ed in fondo è chiaro che ciascuno vuole avere ragione. Quindi il mio atteggiamento non è molto diverso dal tuo ed in ogni caso non è motivato dalla passione per la filosofia (tra l'altro, cosa vuol dire, ragione formale?).

Tornando ai nostri cavilli, il tuo discorso sulla libertà è del tutto condivisibile e ti ripeto che anche nell'etica kantiana è previsto che la libertà sia uno dei fondamenti dell'etica stessa. Ma se una persona decidesse che la sua scelta etica consta nell'uccidere tu non avresti nulla da obiettare? La libertà è fondamentale e va garantita, ma la mia libertà non può sopraffare quella altrui. Quello che dici è certo condivisibile, ripeto, ma in realtà è un modo facile e pericoloso di concedere validità a qualunque azione. Forse un giorno esisterà una società umana in grado di esistere in questa sorta di anarchia, io non credo che oggi sia possibile. La libertà dell'individuo non esiste in senso assoluto ma sempre rispetto agli altri.  E comunque, ti ripeto ancora che nessuno al di fuori di colui che compie l'azione è giudice di se stesso, quindi non vedo cosa c'entri la tua citazione finale.

In ogni caso, anche questa volta non abbiamo fatto che riassumere le nostre posizioni. Se sei d'accordo direi di chiuderla qui. Ovviamente se vuoi ribattere sei liberissimo di farlo, solo non credo di rispondere a mia volta.

Ti ringrazio dell'attenzione, e di aver stimolato in me una riflessione più attenta sulle mie parole.

 

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